Abruzzo tasse e cultura: Irpef alle stelle per coprire il buco sanitario, mentre L’Aquila 2026 resta senza progetti.
Abruzzo tasse e cultura: Irpef alle stelle e progetti culturali fermi
“Quando il potere diventa arbitrario, la resistenza diventa un dovere.”
— Thomas Jefferson
Un’Irpef più salata per coprire il nulla: la disfatta della Regione Abruzzo
È ufficiale: i cittadini abruzzesi pagheranno più tasse per ricevere meno servizi. La Regione ha annunciato un pesante aumento dell’addizionale Irpef, giustificato dalla necessità di colmare un buco sanitario di 260 milioni di euro. Una decisione che pesa come un macigno sulle spalle di famiglie, lavoratori e pensionati, molti dei quali già alle prese con un’inflazione feroce, stipendi stagnanti e un accesso ai servizi pubblici sempre più complicato.
Ma ciò che rende questa scelta ancora più scandalosa è il fatto che, solo pochi mesi fa, la Regione Abruzzo ha ricevuto ben 1,2 miliardi di euro, teoricamente destinati proprio alla sanità. E allora, dove sono finiti quei soldi? Perché il sistema sanitario regionale è ancora in ginocchio? Perché gli ospedali sono sottorganico, perché i concorsi restano bloccati, perché le liste d’attesa sono infinite e le strutture fatiscenti?
La verità è che non lo sappiamo. Nessun documento trasparente, nessun bilancio dettagliato, nessuna conferenza pubblica. Solo dichiarazioni vaghe e giustificazioni imbarazzanti. La sanità abruzzese, già da anni sotto stress, oggi vive una situazione al limite del collasso. E la risposta della Regione è aumentare le tasse. Un capolavoro di incapacità politica e arroganza amministrativa.
Si parla di “responsabilità” e “necessità”, ma nessuno si assume davvero la responsabilità di questo disastro. Il governo regionale naviga a vista, improvvisa, e scarica sui cittadini il costo delle proprie inefficienze. La parola “trasparenza” è un concetto estraneo. La logica è quella dell’emergenza permanente, senza un piano organico di riforma, senza investimenti strutturali, senza visione.
Eppure le risorse ci sono state. L’inerzia della giunta regionale non ha alcuna giustificazione. È legittimo domandarsi se esista, a questo punto, non solo un problema di incapacità, ma anche di credibilità politica. Perché si può fallire, ma non si può farlo nel silenzio e nell’impunità.
L’Aquila “Capitale della Cultura 2026”: un’occasione che rischia di marcire
Nel frattempo, sul fronte culturale, si consuma un altro imbarazzo: il Comune dell’Aquila, insignito del prestigioso titolo di Capitale italiana della Cultura 2026, non ha ancora mosso un dito.
Un trionfo annunciato, quello del titolo, che avrebbe dovuto segnare un punto di svolta per una città simbolo della resilienza e della rinascita post-sisma. Invece, a oltre un anno dalla proclamazione, non esiste ancora un piano concreto, non è stata avviata alcuna progettazione partecipata, nessun investimento culturale visibile all’orizzonte. I cantieri dormono, le idee latitano e le promesse elettorali svaniscono nell’aria.
Abruzzo tasse e cultura: una capitale senza progetti e una cultura lasciata ai margini
Le realtà culturali locali — associazioni, artisti, cooperative, centri giovanili — non sono state coinvolte, anzi, spesso vengono ostacolate. Nessuna chiamata pubblica, nessuna cabina di regia trasparente, solo passerelle e comunicati stampa autoreferenziali. È come se il Comune avesse scambiato la cultura per una medaglia da esibire, non per una sfida da raccogliere. Un’occasione storica trasformata in una vetrina vuota, in un altro titolo da aggiungere alla pagina “eventi” del sito istituzionale.
Nel frattempo, il centro storico continua a vivere una ricostruzione a metà, con edifici pubblici chiusi, spazi per eventi inesistenti, e una scarsissima fruibilità turistica. Altro che capitale: sembra ancora una città ferma nel tempo, intrappolata in una retorica di resilienza che si è fatta immobilismo.
Ed è proprio qui che emerge un aspetto ormai stucchevole: l’ossessione quasi liturgica per Celestino V e la Basilica di Collemaggio. Figure e luoghi simbolici, certamente. Ma non si può basare l’identità culturale di una città intera su un solo personaggio e un solo monumento. L’Aquila ha bisogno di liberarsi da una narrazione monocorde e iniziare a parlare di futuro, di arti contemporanee, di innovazione sociale, di nuove estetiche.
È ora di smettere di rifugiarsi nel passato e cominciare ad aprirsi a nuove prospettive. Basta con i pellegrinaggi alla memoria fine a sé stessi. Serve un progetto culturale vero, dinamico, aperto al mondo. Una capitale della cultura non può vivere solo di commemorazioni e rievocazioni. Deve immaginare il domani.
Giovani dimenticati e spazi abbandonati: il vuoto dietro le parole
In tutto questo, colpisce il totale abbandono delle politiche giovanili. I giovani a L’Aquila e in Abruzzo sono trattati come un problema marginale, anziché come la risorsa centrale per il rilancio del territorio. Mancano spazi culturali indipendenti, luoghi di aggregazione, laboratori di creatività, supporto all’impresa culturale giovanile. Gli studenti fuorisede arrivano, studiano e scappano. Chi resta lo fa nonostante tutto, tra precarietà e disillusione.
Il Comune e la Regione parlano di futuro, ma non fanno nulla per chi quel futuro dovrebbe costruirlo. Nessuna misura per facilitare la nascita di collettivi culturali, startup creative, residenze artistiche. Tutto è lasciato all’iniziativa privata, spesso ostacolata dalla burocrazia e dall’inerzia politica.
La cultura giovanile, quella vera, dal basso, è ancora considerata “scomoda”, poco controllabile, poco omologata. E allora si preferisce investire in eventi patinati, affidare progetti agli amici degli amici, organizzare conferenze vuote e passerelle istituzionali. Il risultato? Una città che appare viva solo su Instagram, ma che nella realtà è spenta, delusa e arrabbiata.
Il tempo della pazienza è finito
È tempo di pretendere trasparenza, competenza e responsabilità. È tempo di chiedere conto di ogni euro speso, di ogni progetto non realizzato, di ogni occasione perduta. I cittadini abruzzesi non possono continuare a pagare l’incompetenza altrui con i propri soldi, la propria salute e il proprio futuro.
La cultura non può essere solo un’etichetta da esibire, né la sanità un salvadanaio da rompere quando le cose vanno male. È tempo di rompere il silenzio e costruire una nuova classe dirigente, capace, presente e al servizio della comunità. Il risveglio civico non è più un’opzione: è una necessità vitale.
di Caro Di Stanislao