Il destino di Andrea Carnevale: tra trionfi nel calcio e un forte messaggio di rinascita e impegno contro il femminicidio.
Il destino di Andrea Carnevale: tra calcio e lotta al femminicidio
Le discese e le risalite. Di una vita che non ha conosciuto mai mezze misure. Andrea Carnevale ha deciso di raccontarsi. E lo ha fatto in un’autobiografia dal titolo evocativo: “Il destino di un bomber”. Libro che uscirà nelle librerie il 25 aprile. Un testo scritto insieme a Giuseppe Sansonna, autore e regista Rai.

“Il destino di un bomber”
Già, il destino. Quello di Carnevale è stato crudele. Un destino doloroso, che ha saputo metterlo alla prova. La tragedia legata all’omicidio della madre per mano di suo padre nel 1975. Che poi morì suicida a sua volta.
Un episodio che ha caratterizzato tutta la sua vita. E che ne ha minato l’adolescenza. Ma da lì Andrea Carnevale ha trovato il coraggio di rialzarsi, sino a diventare un campione. Perché a volte il calcio ti ripaga di tutto quello che la vita ha saputo toglierti. E così oggi l’ex calciatore attraverso la sua storia di violenza e di dolore può rappresentare un simbolo per la lotta contro il femminicidio.
Un fenomeno di stretta attualità, come testimoniano i recenti episodi di cronaca. «Questa iniziativa non ha scopo di lucro – precisa Carnevale- Non faccio queste cose per guadagnare, perché non lucrerei mai su una tragedia e sui femminicidi». A 64 anni per Carnevale è tempo di riavvolgere il nastro. Lui che oggi lavora come responsabile dell’area scouting all’interno dell’Udinese.
Nella vita privata Andrea è sposato con Beatrice Bivi ed è padre di tre figli, oltre ad essere diventato anche nonno. «Beatrice per me è stata una manna dal cielo, in un momento della mia vita particolarmente difficile», confessa l’ex bomber.
Una vita da campione
L’apice per lui è rappresentato dai due scudetti con il Napoli, nell’ ‘87 e nel ‘90. Oltre alla Coppa Uefa e alla Coppa Italia, conquistate sempre con i partenopei. Era il Napoli di Maradona. E proprio Diego fu per Andrea una figura importante. Dentro e fuori dal campo. Poi il trasferimento alla Roma e la squalifica per doping, che ha inciso sulla sua carriera. Una carriera che lo ha visto protagonista anche con la maglia della Nazionale. Compresa l’avventura ai mondiali di Italia ‘90.
Le annate a Pescara
Andrea Carnevale arrivò a Pescara nel novembre 1993. Per lui fu una vera e propria rinascita. Infatti in biancazzurro trovò un ambiente capace di dimostrargli affetto ed entusiasmo. Oltre a restituirgli nuovi stimoli.
Pur scendendo di categoria per approdare in serie B. Era il Pescara dell’era Pietro Scibilia. Che racchiudeva le ambizioni e le aspettative di una piazza desiderosa di tornare nella massima serie. E che veniva dalle due promozioni targate Galeone. Un’eredità difficile da raccogliere per chiunque.
All’epoca il campione era sposato con la conduttrice televisiva Paola Perego. Dopo la prima stagione, Carnevale tornò a vestire la maglia del Pescara nella stagione ‘95-‘96. Divenne ben presto un leader di quel gruppo, che lui con il suo carisma e il suo talento seppe caricarsi sulle spalle. E così anche Pescara ha rappresentato un capitolo importante della sua vita. Magari era proprio destino. Per chi ci crede.
Il destino di Andrea Carnevale: perché ha scelto di raccontare la sua storia
Da cosa nasce l’idea di raccontarsi in un libro autobiografico?
«Nasce da quando un giornalista voleva farmi un’intervista e mi ha detto di non voler parlare del campione ma dell’uomo. Questa mia storia in cinquant’anni non è mai uscita. Era uscita forse solo ai tempi di Napoli.
Io allora mi sono sbottonato, è stata una sorta di liberazione. Ho deciso di fare questa cosa perché è attuale e riguarda il fenomeno del femminicidio. Il mio è solo un messaggio per sensibilizzare questi piccoli uomini che fanno della donna un oggetto.
Quello che è accaduto a me che sono rimasto orfano mi ha fatto riflettere. Ho deciso di scendere in campo anche io. Se pensiamo che in un anno ci sono stati 116 femminicidi, è giusto parlarne per prevenire. Io sono passato al secondo tempo, cioè alla prevenzione. Sensibilizzare vuol dire dare coraggio ad una donna.
Io sono stato fortunato anche grazie al pallone e mi sono sbottonato a 360 gradi parlando anche con la mia nuova famiglia, in particolare con mia moglie Beatrice e mia figlia Arianna. Sono diventato testimonial di Telefono Donna Italia. Ho visto donne che sono in carcere, donne a rischio e che vanno assistite. Così ho parlato con la presidentessa che si chiama Stefania».
Il destino di Andrea Carnevale e il messaggio contro il femminicidio
La sua è una vicenda dolorosa che riguarda la sua vita privata, ma come vediamo dai recenti casi di cronaca riguarda anche la stretta attualità. Che messaggio si sente di lanciare?
«Il mio è un messaggio difficile perché le donne abbiano il coraggio. Cinquant’anni fa mia madre sottolineava sempre di non andare dalle forze dell’ordine. Noi ci andavamo di nascosto. Oggi è giunta l’ora di dire alle donne di stare all’erta. La lite familiare rappresenta una preoccupazione. Io l’ho vissuta. Quelli sono allarmi. Le discussioni, i piatti che volano. La donna non deve dare nemmeno una sola possibilità all’uomo. A mia figlia dico questo. Io ho sempre trattato le donne con i guanti bianchi. Noi siamo nati da loro. Il mio è un messaggio di speranza, per avere il coraggio di denunciare».
Il destino di Andrea Carnevale tra trionfi sportivi e rinascita personale
Il calcio poi le ha restituito quello che la vita le aveva sottratto. Da calciatore ha vissuto l’epoca irripetibile dei due scudetti con il Napoli. Che effetto fa ricordare quei trionfi a distanza di quasi quarant’anni?
«Il mio libro è anche un messaggio per le nuove generazioni, è la storia di un calciatore che ha giocato con Maradona e Careca. Quel bambino orfano ha raggiunto proprio lì l’apice. Lo sport per me è stato fondamentale, è stata una medicina. Quasi quarant’anni fa ho vinto il primo scudetto nella storia del Napoli ed ho visto quel bambino gioire».
Il legame tra Andrea Carnevale e Diego Maradona: un’amicizia oltre il calcio
Quelle annate fantastiche sono legate indissolubilmente ad una persona. Cosa ha rappresentato per lei Diego Armando Maradona?
«Per me era un fratello. Entrambi venivamo dalla povertà, avevamo fatto le stesse vite. Io venivo da Monte San Biagio e lui vicino Buenos Aires. Io e Diego ci capivamo anche senza parlare. Bastava uno sguardo.
Lo sguardo di Diego era magnetico. Lui era un campione di umanità. Mi diceva di andare in garage a prendermi la sua Ferrari. Lo faceva anche con De Napoli e Giordano. Non posso non condividere quattro anni straordinari con lui. Grazie a lui sono stato in Nazionale, ho vinto due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Io mi sono ritrovato con un campione unico e stento a crederci.
Oggi ci sono ancora padri che raccontano ai figli che ho giocato con Maradona. È stato il più grande della storia. Più grande anche di Pelè, di Messi, di Ronaldo. Maradona è di altre categorie».
Il destino di Andrea Carnevale e l’esperienza a Pescara: una seconda rinascita
Poi è arrivato il Pescara. Anche in biancazzurro ha trovato un ambiente da cui ha ricevuto tanto affetto. Cosa ha saputo darle maggiormente la piazza di Pescara?
«Il grande affetto già dalla prima partita, c’era grande entusiasmo tra i ragazzi. Io sento Federico Giampaolo, Dario Di Giannatale, Morgan De Sanctis, Gianluca Colonnello. Loro non credevano che arrivassi a Pescara. Il primo giorno ero già uno di loro. Pierpaolo Marino (all’epoca dg del Pescara, ndr) mi chiese di venire a dare una mano a Pescara. Io non c’ho messo un attimo. Andai da Pozzo e gli dissi che volevo andare a Pescara. Della città mi ispirava il mare, il calore. Mi sembrava una piccola Napoli. Poi le coreografie, il coro fatto per me, mi sono sentito subito a casa. Feci 15 gol il primo anno e avevo intorno ragazzi straordinari. Nobile, Palladini, De Sanctis mi volevano un gran bene. Mi davano piena libertà. Il primo anno fu bello con Rumignani».
È stato due stagioni a Pescara: ‘93-‘94 e ‘95-‘96, era l’era di Pietro Scibilia. La sua prima stagione arrivò una salvezza al termine di un campionato difficile. Nella seconda i tifosi si attendevano di più da quella squadra. Lei come giudica quelle annate?
«Il secondo anno si ruppe qualcosa, ci furono diversi cambi di allenatore con Maifredi, Oddo. Non fu facile, si perse l’entusiasmo del primo anno. C’era qualcosa che non funzionava, partimmo bene poi si ruppe il giocattolo. Mi dispiacque molto lasciare Pescara».
Quando ha capito che il matrimonio con il Pescara sarebbe finito definitivamente?
«C’era stato un rapporto poco idilliaco con l’allenatore (Franco Oddo, ndr). Io non volevo deludere la piazza ed ho preferito lasciare in bellezza. Ho lasciato definitivamente il calcio, mi ero fatto male a Reggio Calabria e ho detto basta. Poi con Franco Oddo ci siamo chiariti. L’ho chiamato qualche anno fa, quando il figlio Massimo è stato qui ad Udine».
Tra tutti quelli con cui ha condiviso quelle annate a Pescara, a chi è rimasto particolarmente legato?
«Sicuramente Di Giannatale. Dario è un mio figlioccio. Mi chiama tutti i giorni e mi dice che mi vuole bene. Ma sento anche Nobile che sta all’estero, Palladini, Federico Giampaolo, Gianluca Colonnello. E Morgan De Sanctis che parteciperà alla mia prima del libro. Probabilmente lo presenterò anche a Pescara. Io sarò presente anche alla Fiera del libro di Torino».
Ha mai pensato di tornare a Pescara, in veste dirigenziale?
«Magari! Pensa che qualche anno fa ho conosciuto il presidente Sebastiani insieme a Marco Arcese dell’Academy. Io oggi sono diventato direttore sportivo, ho preso il patentino. I sogni si possono avverare. Sono 23 anni che sto qui ad Udine come responsabile dello scouting. Se dovesse arrivare una chiamata, perché no? Pescara è una città meravigliosa. Io auguro al Pescara di tornare nel calcio che conta. Non c’entra niente con la C per indotto, gente, stadio, tifoseria».
25-4-2025 Daniele Rossi