Serve un nuovo intellettuale: sabotatore umanista capace di sfidare la mediocrità culturale e rompere l’uniformità del pensiero dominante.
Il sabotatore umanista contro la mediocrità del pensiero unico
L’intellettuale come sabotatore umanista: contro la mediocrità del presente
“L’intellettuale non è lo specialista del vero, ma il militante dell’intelligibile.” — Jean-Paul Sartre
Il sabotatore umanista contro il pensiero unico
In un’epoca in cui l’arena pubblica si è trasformata in un teatro dell’effimero, dominato da opinionisti di plastica e intellettuali in saldo, emerge l’urgenza di rifondare una figura capace di rompere l’uniformità del pensiero unico. I politici non vedono più la complessità del reale, non sanno essere né radicali, né ironici. Gli intellettuali, dal canto loro, arrancano nel fango dei format televisivi, tra applausi telecomandati e indignazioni prefabbricate.
Il naufragio della politica e dell’intelligenza critica
Il panorama è desolante: giudizi banali, conformismo travestito da pensiero critico, paura di sporcarsi con il reale. La cosiddetta élite culturale si accuccia nei salotti, schiava di tabù ideologici e incapace di un’autocritica autentica. Invece di scavare alla radice dei conflitti – sociali, esistenziali, geopolitici – preferisce galleggiare nella comfort zone del moralismo prêt-à-porter.
Ma com’è stato possibile passare da Pasolini a Michele Serra, da Calvino a Benigni con contorno di Geppi Cucciari? Una traiettoria discendente che racconta la trasformazione dell’intellettuale da coscienza critica del paese a intrattenitore di fascia protetta, da voce scomoda a mascotte del sistema. Dall’impegno alla leggerezza, dalla riflessione al monologo da palcoscenico, dalla denuncia alla battuta pronta per il pubblico del sabato sera. Un suicidio culturale in slow motion, travestito da “accessibilità”.
Eppure, nelle pieghe meno visibili della società, sopravvivono intellettuali che ancora tentano di pensare davvero. Vivono nelle retrovie, parlano a pochi, inciampano spesso nel settarismo e nello snobismo povero, ma almeno ci provano. Il rischio però è di cadere nello stesso cretinismo da fanbase idolatrante che affligge il mainstream, solo con toni più “alternativi”.
La sfida oggi è un’altra: abbandonare l’autocompiacimento e ricostruire una postura elitaria nel senso più nobile del termine. Significa alzare l’asticella, dire la verità scomoda, disinnescare le trappole del linguaggio e rifiutare il ruolo addomesticato dell’opinionista di regime.
Essere “contro” non basta. Serve essere oltre: capaci di criticare, ma anche di proporre; di distruggere i falsi miti, ma anche di immaginare nuove possibilità. L’intellettuale autentico è oggi un sabotatore umanista, che sfida la morale dominante, disintegra i luoghi comuni e offre spazi di resistenza mentale ed esistenziale. Deve rifiutare la logica utilitaristica, il pensiero pigro, il conformismo travestito da progresso. Deve essere inutile nel senso più potente del termine: fuori mercato, fuori moda, fuori dal gregge.
Inutile, ma indispensabile: il compito dell’intellettuale oggi
È un compito arduo, ma non impossibile. Serve coraggio, rigore, visione. E una sana, radicale, autoironia.
Non la quantità, ma la qualità del pensiero
In fondo, è proprio la minoranza creativa che, da sempre, manda avanti la storia. Non sarà la quantità a salvarci. Sarà la qualità del pensiero. E la sua libertà.
di Carlo Di Stanislao